Perché i social network non sono compatibili con le democrazie

Le piattaforme social sono diventate strumenti potenti nel plasmare l’opinione pubblica e influenzare i processi elettorali. La loro struttura intrinseca presenta sfide che appaiono insormontabili per la salute delle democrazie moderne. Gli algoritmi che governano questi network sono progettati per massimizzare l’engagement, spesso privilegiando contenuti polarizzanti e sensazionalistici. Questo meccanismo può amplificare discorsi estremisti, disinformazione e manipolazione dell’opinione pubblica, erodendo il dibattito democratico informato.

In particolare, non sono più la televisione o i giornali, ovvero dei media che in qualche modo possono essere “controllati” a orientare il pensiero politico della maggior parte delle persone. Per quanto i giornalisti tradizionali possano sforzarsi a promuovere la verità, è una battaglia che non possono vincere se gli oscuri meccanismi che muovono i social agiscono per incrementare i propri consensi, in una società che ormai è quasi completamente pervasa dalla tecnologia.

Il caso rumeno

Un esempio emblematico di queste dinamiche è rappresentato dalle recenti elezioni presidenziali in Romania. Nel novembre 2024, il candidato di estrema destra Călin Georgescu ha ottenuto una vittoria sorprendente nel primo turno, grazie a una campagna elettorale fortemente incentrata su TikTok. La sua ascesa è stata facilitata da una strategia comunicativa che ha sfruttato l’algoritmo della piattaforma per diffondere messaggi nazionalisti e cospirazionisti, il che gli ha permesso di raggiungere un vasto pubblico, in particolare tra i giovani. Successivamente, la Corte Costituzionale rumena ha annullato i risultati elettorali, citando sospette ingerenze russe e manipolazione attraverso i social media. Questo evento ha scatenato un dibattito intenso sull’integrità dei processi democratici nell’era digitale.

TikTok

Il successo di Georgescu è stato ampiamente attribuito alla sua presenza su TikTok, dove il suo account ha raggiunto 7,2 milioni di like e 646 follower. Alcuni esperti ritengono che questi numeri possano essere stati gonfiati artificialmente, mentre il principale organo di sicurezza romeno ha denunciato un trattamento di favore da parte di TikTok nei confronti del candidato rispetto agli altri contendenti.

Secondo la Corte Costituzionale, i video di Georgescu, che è stato soprannominato il “Messia di TikTok” per il suo messaggio ultra-religioso e la sua retorica anti-Ue su TikTok, hanno raggiunto un massa di pubblico in maniera inaspettata. Si sospetta, nello specifico, che l’algoritmo TikTok abbia promosso i video di Georgescu in modo tale da sbilanciare l’opinione pubblica e favorire il consenso al politico di destra. Ma questo è stato fatto intenzionalmente o l’algoritmo ha agito di sua “spontanea volontà”?

La vicenda rumena evidenzia come l’uso strategico dei social network possa compromettere la trasparenza e la legittimità delle elezioni. La combinazione di algoritmi opachi, la diffusione virale di contenuti manipolativi e la possibilità di interferenze straniere crea un terreno fertile per la distorsione della volontà popolare. Inoltre, la rapidità con cui le informazioni si propagano sulle piattaforme digitali rende difficile per le autorità intervenire tempestivamente per contrastare la disinformazione.

Naturalmente, questo è solamente l’ultimo scandalo che ha riguardato social network e democrazia, mentre a fare scuola nella disciplina rimangono lo scandalo Cambridge Analytica e la conseguente indagine del Procuratore Speciale Robert Mueller. Questi due episodi, risalenti ormai a qualche anno fa, rappresentano ancora due capitoli fondamentali per comprendere le dinamiche politiche e sociali che hanno caratterizzato gli Stati Uniti nel recente periodo. Dallo sfruttamento illecito dei dati personali di milioni di utenti di Facebook, alle interferenze della Russia nelle elezioni presidenziali del 2016, fino ai dubbi sulla condotta di Donald Trump, questi eventi hanno messo in luce la complessità e le vulnerabilità del sistema democratico.

Cambridge Analytica: manipolazione dei dati e democrazia in crisi

Lo scandalo Cambridge Analytica è esploso nel 2018, quando è emerso che questa società aveva raccolto illegalmente i dati di circa 87 milioni di utenti di Facebook attraverso un’app apparentemente innocua. Questi dati sono stati utilizzati per costruire profili psicologici degli elettori e manipolarli con messaggi politici mirati. La società ha lavorato anche per la campagna presidenziale di Donald Trump nel 2016, il che ha destato preoccupazioni sulla trasparenza e sull’etica delle tecniche di microtargeting.

Quando emerse l’entità dello scandalo, Mark Zuckerberg, CEO di Facebook, venne convocato dal Congresso degli Stati Uniti per rispondere delle falle nella gestione della privacy degli utenti. Le audizioni hanno evidenziato quanto i social media possano essere utilizzati per influenzare le elezioni e posto questioni fondamentali sulla regolamentazione delle piattaforme tecnologiche.

Mark Zuckerberg

Il ruolo della Russia e i legami indiretti con Cambridge Analytica

Parallelamente allo scandalo Cambridge Analytica, l’interferenza russa nelle elezioni del 2016 ha aggiunto un ulteriore livello di complessità. La Russia, attraverso operazioni condotte dall’Internet Research Agency (IRA) e il GRU, ha diffuso disinformazione sui social media e hackerato le email del Comitato Nazionale Democratico (DNC).

Mentre non ci sono prove dirette che colleghino Cambridge Analytica alla Russia, ci sono connessioni indirette: il ricercatore Aleksandr Kogan, che ha sviluppato l’app usata per raccogliere i dati di Facebook, aveva collaborazioni accademiche con istituzioni russe. Inoltre, le strategie di manipolazione usate da Cambridge Analytica e dalla disinformazione russa presentano notevoli somiglianze, come il microtargeting e la polarizzazione sociale.

L’indagine Mueller: interferenze, collusioni e ostruzione

L’indagine condotta da Robert Mueller partì nel 2017 per approfondire il ruolo della Russia nelle elezioni e i possibili legami con la campagna di Trump. Il rapporto finale, pubblicato nel 2019, ha delineato che la Russia ha condotto una campagna su larga scala per influenzare le elezioni attraverso social media e hacking. Tuttavia, pur documentando numerosi contatti tra membri dello staff di Trump e figure legate al Cremlino, non sono emerse prove sufficienti per accusare la campagna di cospirazione attiva con la Russia.

Mark Zuckerberg

Mueller ha analizzato dieci episodi potenzialmente configurabili come ostruzione alla giustizia, come il licenziamento di James Comey e i tentativi di influenzare l’indagine. Pur non incriminando direttamente Trump, Mueller ha lasciato al Congresso la decisione su un possibile impeachment.

Sebbene il rapporto Mueller non abbia portato a un impeachment diretto, ha fornito spunti che avrebbero potuto essere utilizzati dal Congresso. Trump non venne accusato di impeachment in quell’occasione: infatti; i suoi due impeachment (nel 2019 per il caso Ucraina e nel 2021 per l’incitamento all’insurrezione del 6 gennaio) sono stati legati ad altri episodi. La decisione di Mueller di non raccomandare un’azione esplicita ha riflesso la sua neutralità, visto che si è sempre posto l’obiettivo di non politicizzare ulteriormente l’indagine.

Lo scandalo Cambridge Analytica e l’indagine Mueller hanno, ad ogni modo, rivelato fragilità profonde nelle democrazie moderne, dall’uso illecito dei dati personali alle interferenze straniere nei processi elettorali. Questi eventi non solo hanno messo in discussione l’integrità delle elezioni del 2016, ma hanno anche sollevato domande cruciali sulla regolamentazione delle tecnologie, la trasparenza delle leadership e la capacità delle istituzioni di rispondere a sfide senza precedenti. Nel complesso, rappresentano un monito sui rischi che le democrazie devono affrontare nell’era digitale.

Fanno inoltre capire come gli organi regolatori non riescono a stare al passo con le piattaforme tecnologiche da un punto di vista temporale: saranno sempre in ritardo rispetto ai cambiamenti che accadono nel web. Affidare ai dati sull’engagement il timone per orientare gli algoritmi mette la gente al centro della creazione dell’informazione, non la realtà, e questo non è compatibile con la democrazia, un sistema politico che è strutturalmente incentrato sui dati e sull’informazione.