Perché i giochi mobile non mantengono la promessa di divertimento iniziale

Il mio feed di Instagram è stato inondato per mesi da pubblicità che mostrano una semplice ma appagante esperienza di gioco, in cui si affrontano orde di nemici spostando le proprie unità a destra e sinistra, mentre si raccolgono bonus per potenziare l’esercito. Tutto sembra basato su calcoli matematici intuitivi: spostandosi verso una sezione della mappa, l’esercito si moltiplica per un certo numero, mentre in un’altra lo farà in misura minore. In apparenza, basta fare la scelta giusta per vincere. Le pubblicità, tuttavia, si concludono sempre con un errore banale del giocatore, che perde la partita e viene invitato a scaricare il gioco per continuare.

Last War

Quando provo a scaricare i giochi relativi a queste pubblicità, però, sono completamente diversi, il che mi fa pensare che siano pubblicità volutamente pensate per essere ingannevoli. Ma perché le pubblicità propongono un tipo di gioco così diverso dalla realtà? Cos’hanno di così tanto stimolante quelle pubblicità? Dopo mesi passati a vedere pubblicità che non corrispondevano ai giochi reali una di queste mi prometteva esattamente la stessa esperienza della pubblicità. Finalmente, qualcuno aveva creato il gioco della pubblicità. Lo scarico, si chiama Last War, ed effettivamente è vero: quel gioco non solo riproduce le stesse meccaniche di gioco, ma trasmette lo stesso feeling “al pixel”.

Solo dopo quindici minuti, però, Last War ha mostrato il suo vero volto. Ho sbloccato una base, ho avuto bisogno di aggiornare strutture, e sono comparsi i classici timer e le risorse da raccogliere per farlo. È apparsa una ragazza in pericolo, tenuta in ostaggio nella mia stessa base, che avrei potuto liberare solo dopo giorni di gioco ad accumulare l’energia necessaria. Ho dovuto potenziare degli eroi per ripulire le strade. A quel punto sono stato bombardato da annunci per fare acquisti per rafforzare la mia squadra, messaggi che sono diventati una costante per i successivi 3-4 mesi.

Last War

Il gioco “matematico” era sparito, serviva solo come esca per spingere le persone come me a scaricare l’app. Tuttavia, il gioco è riuscito a tenermi impegnato: salvare Monica sembrava un obiettivo raggiungibile e costruire la mia base e potenziare la squadra è stato facile e gratificante.

Dopo alcuni giorni passati a salvare la ragazza, ho capito che questo periodo iniziale era pensato per farmi acquisire un’abitudine di accesso costante. Il gioco ha avuto un’altra evoluzione: è stata rivelata una mappa del mondo in cui la mia base era solo una delle tante. Per sopravvivere ho dovuto unirmi a un’alleanza con altri giocatori. Sono comparse una chat mondiale e una di alleanza, ed ha cominciato a emergere una nuova tipologia di gioco: quella sociale.

Last War

Questa componente sociale mi ha tenuto incollato allo schermo, ma ha anche reso molto più difficile resistere all’acquisto dei numerosi pacchetti e aggiornamenti disponibili. Ho percepito costantemente la sensazione che spendere un po’ di soldi avrebbe migliorato il gioco e mi avrebbe reso molto più forte. Sono riuscito a resistere a quella tentazione, ma altri no. I miei alleati hanno ricevuto pacchi regalo, il cui valore dipende dalla quantità di denaro spesa dal giocatore.

Nelle alleanze di cui ho fatto parte circolavano centinaia di pacchi regalo al giorno, alcuni del valore di oltre 50 euro l’uno. Stimo che solo nella mia alleanza siano state spese decine di migliaia di euro. L’ingegneria sociale non si è fermata qui. È stata creata una gerarchia nell’alleanza e nel server basata sul potere e sulla partecipazione. L’accesso giornaliero non era solo consigliato, ma era necessario per accumulare potere, risorse e soddisfare le esigenze dell’alleanza. In una giornata normale aprivo Last War 2-3 volte all’ora, dedicando spesso 5 minuti o più a ogni accesso. È stata la prima app che ho aperto al mattino e l’ultima che ho visto prima di dormire. I duelli tra alleanze hanno messo i team l’uno contro l’altro, ed è diventato evidente che l’unica cosa che contava per vincere era quanti soldi ciascuna squadra era disposta a spendere.

Last War

Sono passati mesi. Ho raggiunto il livello 25 della mia base, su un massimo di 30. Ho iniziato a sentire una sensazione di stanchezza. Dopo tutto questo tempo e impegno, con eventi programmati e duelli dell’alleanza, mi sono chiesto: perché? Dove mi porta tutto questo? Anche dopo aver deciso di smettere di giocare, non sono riuscito a mandare un messaggio al leader dell’alleanza per avvisarlo che avrei lasciato il gioco per sempre.

Tecnicamente, non dovevo farlo. Dopotutto, era solo un gioco mobile che avevo scaricato mesi fa per noia. Non dovevo niente a nessuno. C’è stato però un effetto di costo sommerso, per cui ho sentito di aver speso così tanto tempo ed energie che smettere mi sarebbe sembrato uno spreco. A questo si aggiunge la componente di ingegneria sociale, che mi ha fatto sentire fedele al mio team. Ho solo potuto immaginare quanto sarebbe stata più forte questa pressione se avessi speso soldi e avessi avuto un ruolo più elevato nell’alleanza. Dopo circa una settimana di stress, ho finalmente inviato un messaggio al leader dell’alleanza, ho estratto tutte le mie risorse, abbassato lo scudo e disinstallato il gioco.

Ripensare a tutta l’esperienza mi ha fatto capire quanto questo gioco sia insidioso. Quanto è stato divertente? Onestamente, per molto tempo mi è sembrata più una responsabilità. Ma è riuscito a tenermi agganciato? Assolutamente. Piccoli aumenti di potenza mi hanno dato una dose di dopamina sufficiente a farmi andare avanti. Sono contento di non averci speso soldi, ma avrei potuto farlo molto facilmente.

Se dovessi dare un prezzo a questo gioco in base all’esperienza avuta, pagherei forse dai 15 ai 20 euro. Ma in Last War ci sono persone che hanno speso migliaia di euro. Last War è un gioco mobile che sfrutta le necessità sociali e di dipendenza delle persone per estorcere quanto più tempo e denaro possibile in cambio della minima ricompensa.

Mi chiedo se tutte quelle persone che hanno speso centinaia o migliaia di dollari avrebbero pagato quel prezzo in anticipo. Questo gioco vale davvero quel denaro? O, in altri termini, vale il tempo che ho speso giocandolo? Si è partiti da una falsa promessa che, a ben vedere, ha continuato a essere tale per mesi: Last War non è mai stato in nessuna fase di questa esperienza quello che sono stato indotto a pensare inizialmente. E non è certo il protagonista dell’unica pubblicità ingannevole nel mondo dei videogiochi.

Questo non è l’unico filone di giochi che sui sistemi mobile sfrutta pubblicità ingannevoli. Un altro che mi è capitato di incrociare è Block Blast! Nelle pubblicità sembra un’esperienza di Tetris “infinita”, con blocchi che continuamente scendono nella schermata di gioco e producono effetti di distruzione su larga scala, molto appaganti. Scarico il gioco, e invece mi ritrovo davanti un’esperienza “molto limitata”, con una griglia Tetris più classica e molte meno opzioni di gioco rispetto a quanto promesso dalla pubblicità. Bisogna comunque dire che Block Blast! non ha all’interno altri meccanismi di ingaggio ingannevoli o acquisti in-app così consistenti come quelli di Last War. Detto questo, il ragionamento che qui stiamo facendo non si limita certo alla dimensione mobile.

Block Blast!

Anzi, a ben vedere, le pubblicità ingannevoli non sono nate nella dimensione mobile, ma proprio in quella dei videogiochi Tripla A per sistemi domestici. Quando i primi trailer mostravano una grafica super particolareggiata, ma poi la versione finale – che avevamo a distanza di mesi dal rilascio di quei filmati – era ben diversa, avevamo sensazioni non molto dissimili da quelle che ci ha trasmesso Last War. Quando il gioco arrivava tra le nostre mani, la grafica non era così sbalorditiva come nelle promesse, anzi ci si rendeva conto che le immagini del trailer non provenivano per niente dal gioco reale. Non è il livello di pubblicità ingannevole raggiunto nella sfera mobile, ma è un fenomeno che parte da lì, dai videogiochi “veri”.

Block Blast!

L’adv di Block Blast! è molto diverso dal gioco vero e proprio

Alla base di tutto, in entrambi i casi, la promessa che il tempo che avremmo dedicato a quei videogiochi avrebbe giovato a qualcosa. Ma, alla fin dei conti, sia in un caso che negli altri, tutto si traduce in un grosso spreco delle nostre risorse mentali e del nostro – preziosissimo – tempo.

A questo però devo aggiungere – brevemente – il racconto di un’altra mia esperienza particolare con il gaming mobile. Stavolta legata al gioco Airport City. Lo avevo scaricato in un periodo in cui facevo molte trasferte di lavoro in aereo e, per qualche strano meccanismo mentale, avevo deciso di concentrarmi su aerei e affini ancora di più, sul mio smartphone. Anche lì emerse piuttosto presto una dimensione sociale e, in particolare, mi ritrovai a giocare in maniera continuativa con una ragazza. Di lei potevo vedere solamente l’avatar, sembrava molto carina. Solo che il gioco non offriva ulteriori opzioni di socializzazione: non c’era modo di avviare una chat.

Dall’avatar, però, ero riuscito a risalire al profilo Facebook di questa ragazza, fino ad aggiungerla ai miei amici e a parlarci. Ogni giorno, condividevo con lei gli obiettivi quotidiani che Airport City proponeva: ci aiutavamo a progredire nell’esperienza (anche in questo caso diventava a un certo punto necessario spendere denaro reale per stare al passo).

Airport City è un gioco che a un certo punto richiede la gestione di voli spaziali, oltre che dei normali voli con gli aeroplani. Ma per poter lanciare un razzo bisogna dotarlo delle risorse necessarie. Da soli non si riesce, per cui vale la pena collaborare con qualcuno per raggiungere la quantità necessaria al lancio in tempi più brevi. Inoltre, a intervalli regolari vengono proposti degli eventi che mettono i giocatori gli uni contro gli altri: chi ottiene più risorse in meno tempo vince l’evento e ottiene altre risorse. Con lei organizzavamo i voli spaziali e ci scambiavamo dei consigli su come primeggiare negli eventi a scadenza regolare. Quando le proposi di incontrarci nella vita reale (lei abitava all’estero) acconsentì e ci siamo conosciuti di persona.

Insomma, questo secondo racconto sembra in contraddizione rispetto al primo: in effetti, è nata una bella e sana amicizia a partire da un semplice avatar. Però, ancora una volta fa riflettere su come la dimensione virtuale possa condurre a esperienze del tutto innaturali, che mai ci saremmo aspettati di avere con la sola esperienza reale.