Le recenti e crescenti tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti, causate dalle politiche del governo Trump, sembrano aver spinto molte realtà a cercare alternative europee ai servizi offerti dalle aziende americane, in particolare per quanto riguarda il cloud computing. Quello che è ancora un fenomeno di piccole dimensioni sembra però in crescita costante e sembra segnalare un cambiamento più profondo nel modo in cui aziende e istituzioni in Europa vedono i servizi cloud offerti dai giganti americani.
Cambia il vento, si spostano le nuvole
I principali fornitori di servizi cloud sono americani: AWS, Google e Microsoft, con Oracle e IBM che si posizionano più a distanza ma con un ruolo forte in grandi aziende ed enti governativi. La scala a cui operano è inarrivabile per qualunque concorrente, così come la quantità e varietà di servizi che offrono: sono proprio questi aspetti ad averne decretato finora il successo.
Il CLOUD Act statunitense, che stabilisce il potere del Governo d’Oltreoceano di ottenere dati da aziende americane indipendentemente da dove questi siano effettivamente ubicati, ha già portato molti degli hyperscaler a trovare escamotage (seguendo l’italianissimo “fatta la legge, trovato l’inganno”) che spesso implica l’uso di sistemi crittografici controllati dai clienti che garantiscono che solo questi possano accedere ai propri dati. Ma questa perenne incertezza, unita a un deciso cambio di passo da parte del Governo statunitense nei rapporti con il Vecchio Continente (che ci porta a chiederci: possiamo ancora fidarci degli USA?), sta portando sempre più aziende a guardare altrove: non è (più) irrealistico pensare che il Governo statunitense possa imporre dazi o altre misure che portino a incrementi significativi nei costi dei servizi, mentre per il momento è ancora “fanta-geopolitica” l’idea che si possa arrivare a “staccare la spina” ai data center americani in Europa.
Come riporta Wired, ci sono segnali che le aziende europee stiano cominciando a guardare ai servizi europei per sostituire quelli forniti dai colossi statunitensi. Steffen Schmidt, CEO di Medicusdata, un’azienda che fornisce servizi di sintesi vocale per l’ambito sanitario in Europa, afferma che “dall’inizio del 2025, in aggiunta alle garanzie di residenza dei dati, i clienti ci hanno chiesto attivamente di usare fornitori di servizi cloud che siano aziende native europee.” E Schmidt non è il solo: le visite al sito european-alternatives.eu sono aumentate del 1.200% dal 15 gennaio, segno che c’è un certo appetito per alternative europee ai vari servizi americani.
Verso un nuovo ecosistema cloud in Europa?
Per certi versi si tratta di un cambiamento prevedibile, visto che c’è crescente attenzione verso l’origine di prodotti e servizi e in tutta Europa sono sorti movimenti per boicottare prodotti e servizi statunitensi. Ma nel caso dei servizi cloud ci vorrà molto tempo per vedere un impatto significativo, in particolare per via dei costi di uscita dei dati (chiamati egress costs in inglese): le aziende dovranno infatti pagare per fare uscire i propri dati dai data center degli hyperscaler. E più sono i dati archiviati, maggiori saranno i tempi e i costi per lo spostamento.
Gli operatori europei del cloud non stanno a guardare, nel frattempo: Aruba, Dynamo e IONOS hanno recentemente lanciato SECA, che punta a creare uno standard per il cloud europeo aperto, interoperabile e che non “imprigioni” i clienti tra costi d’uscita e implementazioni proprietarie non compatibili con gli altri operatori. Si tratta di un impegno che va a unirsi a quello per creare una base di software infrastrutturale che si stacchi dai colossi americani e impieghi tecnologie open source e standard condivisi. Non mancano iniziative da parte di altri grandi operatori cloud europei come Exoscale e OVHcloud.
Un approccio che dia precedenza alle imprese europee (in particolare negli appalti pubblici), unito a questo lavoro di creazione di uno stack tecnologico europeo, potrebbe portare a una ravvivata competizione che dia nuovo impulso alla scena cloud europea. Con indubbi vantaggi per tutti, almeno da questa parte dell’Atlantico.