La sindrome da inseguimento ad OpenAI sta causando burnout tra i professionisti dell’IA

Un lungo reportage della CNBC lancia l’allarme sulle condizioni di lavoro e il trattamento dei professionisti che operano nel campo dell’intelligenza artificiale nelle principali aziende tecnologiche, ma non solo.

La corsa allo sviluppo di nuovi servizi di intelligenza artificiale starebbe toccando un ritmo più alto che mai e, in diversi casi, sembrerebbe aver preso una piega scriteriata, in quella che potrebbe essere definita a tutti gli effetti “la sindrome da inseguimento ad OpenAI“.

Secondo le testimonianze di molti addetti del settore, una buona fetta del lavoro sarebbe dedicata a dare in pasto qualcosa agli investitori, più che a creare servizi utili in grado di risolvere i problemi degli utenti finali. Inoltre, le società starebbero portando avanti progetti senza curarsi degli effetti sul cambiamento climatico, sulla privacy delle persone e altri potenziali rischi.

Tutto questo starebbe portando molti sviluppatori di servizi IA a sperimentare il cosiddetto “burnout”, ossia una fortissima condizione di stress. Per illustrare l’andazzo che oggi si vivrebbe tra le Big Tech, la CNBC racconta la storia di un (anonimo) ingegnere Amazon che, sul finire dello scorso anno, dopo una settimana di lavoro, si stava preparando a trascorrere del tempo con alcuni amici fuori città.

Un messaggio su Slack alla fine del venerdì mandò tutti i suoi piani in fumo: bisognava consegnare un progetto entro le 6 del mattino di lunedì. Cancellata la gita fuori porta – e lavorando giorno e notte – l’ingegnere riuscì a confezionare quanto richiesto, ma alla fine quel progetto fu accantonato, senza troppe spiegazioni.

Non si tratterebbe di un caso isolato: a chi si occupa di plasmare i nuovi servizi IA verrebbe chiesto di spingere sull’acceleratore per creare nuove funzionalità che spesso vengono poi improvvisamente messe da parte, in favore di un frenetico passaggio a un altro progetto.

ChatGPT è il ‘momento iPhone’ dell’intelligenza artificiale secondo il CEO di NVIDIA

Ai vertici delle aziende regnerebbe la paura di perdere terreno sulla concorrenza, per questo motivo vigerebbe una frenesia che macina tutto, in primis le persone. Scadenze sempre più ristrette, rincorsa gli annunci dei rivali e una generale mancanza di remore per l’impatto di alcune soluzioni sul mondo reale starebbero mettendo a dura i professionisti del settore tanto che, alcuni di loro, avrebbero iniziato a guardarsi attorno e scelto di abbandonare le divisioni che si occupano di IA, a causa di un ritmo ritenuto “insostenibile”.

Secondo il già citato ingegnere di Amazon, i piani alti sembrerebbero fare le cose solo per “spuntare una casella” e la velocità, piuttosto che la qualità, sarebbe la priorità mentre si tenta di ricreare i prodotti di Microsoft o OpenAI.

Amazon, contattata dalla CNBC, ha dichiarato di essere “concentrata sulla costruzione e sull’implementazione di innovazioni di IA generativa utili, affidabili e sicure che reinventano e migliorano l’esperienza dei clienti” e che sta supportando i suoi dipendenti per “realizzare tali innovazioni. È impreciso e fuorviante usare l’aneddoto di un singolo dipendente per descrivere l’esperienza di tutti i dipendenti di Amazon che lavorano nell’IA”, ha dichiarato il portavoce.

Eric Gu, un ex dipendente di Apple che ha lavorato per circa quattro anni a iniziative di IA, tra cui il visore Vision Pro, ha dichiarato che verso la fine del suo periodo in azienda si sentiva come in trappola.

“Apple è un’azienda molto focalizzata sui prodotti, quindi c’è una forte pressione per essere immediatamente produttivi, iniziare a consegnare i prodotti e contribuire alle funzionalità“, ha detto Gu, rammaricato del fatto che, seppur circondato da “persone brillanti”, non ha avuto il tempo necessario per imparare da loro. “Il tutto si riduceva al ritmo con cui si sentiva di dover consegnare ed eseguire“, ha detto Gu, che ha lasciato Apple un anno fa. 

Un ingegnere di IA di Microsoft, anch’esso anonimo, ritiene che l’azienda ha scelto di puntare tutto sulla velocità, il che l’avrebbe portata a effettuare lanci frettolosi senza preoccuparsi sufficientemente delle conseguenze.

Un membro del team IA di Google ha dichiarato che il burnout è il risultato della pressione competitiva, delle tempistiche fitte e della mancanza di risorse, in particolare di budget e di personale. Molte Big Tech hanno dichiarato pubblicamente che indirizzeranno una parte cospicua delle proprie risorse sull’IA, ma poche volte ciò si tradurrebbe in un aumento del personale.

Il reportage della CNBC tocca anche realtà differenti dai grandi colossi. Un ricercatore di un’agenzia governativa, per esempio, ha affermato di sentirsi in difficoltà a tenere il passo.

“Molte volte viene chiesto di fornire una soluzione a un problema che non esiste con un tool che non si vuole usare“, ha dichiarato Kolman, ingegnere software indipendente, alla CNBC.

La parola del momento è “intelligenza artificiale” e quindi tutto deve essere ricondotto a quel termine, capace di far aprire magicamente il portafogli agli investitori. A tal proposito, l’ingegnere di Microsoft ha ricordato un episodio in cui un suo collega avrebbe proposto un algoritmo, che non coinvolgeva l’IA generativa, per risolvere un particolare problema. La soluzione, sebbene migliore, sarebbe stata messa da parte a favore di una meno efficiente, più costosa e più lenta che usava però un modello linguistico di grandi dimensioni.

Le testimonianze raccolte dalla CNBC dipingono un quadro non proprio idilliaco del settore. Se da una parte sarebbe bello che la rivoluzione dell’IA avvenisse in modo ordinato e soddisfacente per tutti, non bisogna nemmeno “cadere dal pero”: i cambiamenti epocali spesso e volentieri causano sconvolgimenti e fanno morti e feriti.

Inoltre, non va dimenticato che si sta parlando degli Stati Uniti, la patria del capitalismo e della competizione: ritmi di lavoro serrati sono all’ordine del giorno, specie nella Silicon Valley, non c’è quindi troppo da stupirsi se la situazione si è fatta ancora più dura.

Bisogna solo decidere se stare, o meno, al gioco. Un gioco che certo potrebbe essere gestito meglio, ma ci vorrà del tempo prima che il settore aggiusti il tiro. E per chi non si adeguerà, forse, una soluzione c’è, anche se non piacerà: si chiama proprio intelligenza artificiale e, Devin, è solo un esempio.