Google contraddice se stessa: ‘Il web aperto è in rapido declino’

Per mesi Google ha sostenuto che il web era in buona salute, e che l’introduzione dell’AI nei suoi prodotti non avesse inciso negativamente sul traffico dei siti. L’azienda sosteneva addirittura che la varietà di fonti raggiunte tramite Search fosse in crescita. Affermazioni che, per chi è addentro alla questione, risultavano quantomeno “bizzarre”.

Ma se dici una bugia tante volte, anche se la dici bene, prima o poi ti tradisci, e così è stato. In un documento legale depositato negli Stati Uniti, l’azienda ha ammesso che “il web aperto è già in rapido declino“.

La dichiarazione è emersa nel contesto del procedimento giudiziario che vede il Dipartimento di Giustizia statunitense (DOJ) accusare Google di abuso di posizione dominante nel settore della pubblicità online. L’autorità propone lo scorporo delle attività pubblicitarie della società, ma Google si oppone, sostenendo che tale intervento “accelererebbe ulteriormente il declino del web aperto, danneggiando gli editori che oggi dipendono dai ricavi della display advertising tradizionale”.

Secondo Mountain View, il panorama è già profondamente trasformato da nuovi fattori di mercato: la diffusione dell’intelligenza artificiale nei sistemi pubblicitari, l’esplosione dei formati alternativi come la pubblicità su Connected TV e retail media, e il crescente spostamento degli investimenti verso canali diversi dal web aperto.

La posizione però stride con quanto dichiarato in più occasioni dai vertici dell’azienda. Nick Fox, vicepresidente senior della divisione Knowledge, aveva definito il web “fiorente” solo a giugno, mentre Sundar Pichai, CEO di Google, aveva assicurato che l’introduzione delle funzioni AI in Search stava portando traffico “a una gamma più ampia di editori e fonti”. Anche Liz Reid, responsabile di Google Search, aveva parlato di volumi di clic “relativamente stabili” nonostante la crescente adozione di AI Overview.

Interpellata da The Verge, la portavoce Jackie Berté ha cercato di ridimensionare la portata della frase, sostenendo che il riferimento fosse mirato esclusivamente al mercato della “open-web display advertising” e non all’intero ecosistema web. La replica, però, non cancella l’impressione che Google adatti la propria narrativa a seconda del contesto: difendere la solidità del web quando l’attenzione è sulle implicazioni dell’AI, o sottolinearne le difficoltà quando si tratta di ridimensionare le accuse di monopolio.

La contraddizione riflette un fenomeno già percepito da molti editori digitali, che negli ultimi anni hanno riportato cali di traffico legati sia ai cambiamenti negli algoritmi di ricerca, sia all’emergere dei chatbot basati su intelligenza artificiale, a cui sempre più utenti si rivolgono bypassando la ricerca web approfondita. Quest’ultima, poi, è stata ulteriormente messa in crisi da AI Overview, la risposta sintetica creata dall’AI sulla base delle fonti online, che viene mostrata in sempre più ricerche su Google.

Per il futuro del web aperto, dunque, lo scenario resta incerto, per non dire nero: tra Google Discover e AI Overview, per passare dai chatbot, portare avanti un’attività editoriale online o persino un blog amatoriale di discreto successo sta diventando un’attività sempre meno sostenibile.