Gli aerei del futuro: dopo decenni di immobilità, qualcosa si muove, anzi, vola

La storia dell’aeronautica inizia il 19 Ottobre 1783, a Parigi, quando Joseph-Michel e Jacques-Étienne Montgolfier effettuano il primo volo accertato di un pallone capace di portare persone.

Il pallone altro non era che un concept studio [come lo chiameremmo ora] delle moderne mongolfiere e il volo era “vincolato” e non “libero”, vale a dire che il pallone era assicurato a terra tramite robuste funi: a bordo, lo scienziato Jean-François Pilâtre de Rozier, Jean-Baptiste Réveillon e Giroud de Villette.

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Il primo volo libero avvenne il mese successivo, il 21 novembre 1783.

Settant’anni dopo, nel 1852, avviene un altro salto in avanti con il primo dirigibile messo a punto – ancora una volta – da un francese, Henri Giffard.

Nel 1883 i fratelli Gaston e Albert Tissandier misero a punto il primo dirigibile a propulsione elettrica, che effettuò il volo d’esordio l’8 ottobre dello stesso anno 1883.

Venne impiegata una dinamo elettrica tipo Siemens quale motore, in grado di fornire la potenza di un cavallo e mezzo [con un peso, batteria compresa, pari a 275 kg], sufficiente a mettere in movimento un’elica a due palette elicoidali.

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Quindici anni dopo, nel 1898, arrivano il primo modello con motore a combustione interna e lo Zeppelin.

Il 17 Dicembre 1903, i fratelli Orville e Wilbur Wright effettuano il primo volo con il primo mezzo motorizzato, il Wright Flyer, aprendo definitivamente il capitolo della conquista umana dei cieli.

Nonostante il desiderio di volare e di spostarsi sempre più velocemente da un angolo all’altro del globo abbia accompagnato l’umanità fin dai suoi esordi, per quasi un secolo il settore dell’aviazione è stato caratterizzato da una profonda immobilità.

Negli ultimi anni, però, le cose sono cambiate grazie soprattutto all’opinione pubblica: nel post Covid il trasporto aereo civile ha ricominciato a crescere – mediamente del 5% ogni anno a livello planetario – e la maggior consapevolezza dell’impatto ambientale delle attività umane ha spinto diverse società del settore a ripensare al concetto di volo, sia dal punto di vista dei mezzi di propulsione sia a quello degli aeroplani.

L’Organizzazione per l’Aviazione Civile Internazionale [ICAO] nel 2019 ha indicato gli obiettivi di riduzione delle emissioni, comprese le emissioni di gas serra, di almeno il 50% entro il 2050 rispetto ai livelli del 2005.

Per raggiungere il traguardo è necessario progettare aerei profondamente diversi da quelli attuali, capaci cioè di volere di più, portare più persone, e inquinare molto meno.

“Il grande gioco nel futuro dell’aviazione adesso lo fanno i SAF [Sustainable Aviation Fuel, l’equivalente degli e-fuel delle auto], i carburanti a basso impatto”, ha commentato Andrea Giuricin, docente di Economia dei trasporti all’Università di Milano Bicocca e visiting professor alla China Academy Railway Science. “In Europa abbiamo fissato obiettivi molto alti: entro il 2030, il 10 per cento del carburante in media dovrà essere SAF”.

Come per gli e-fuel e i bio-carburanti per le auto, però, il SAF è estremamente costoso, come spiegato da Giuricin:

“Non ci sono problemi tecnici, ma di approvvigionamento sì: gli aerei di Airbus, per esempio, possono già volare con una miscela al 50% di cherosene e SAF, ma questo è molto caro da produrre. Considerando che il 30-40% del costo complessivo di una compagnia aerea, cioè la prima voce, è il carburante, un prezzo più alto ha un impatto proporzionale”.

Al momento il costo al litro del SAF [sebbene non esistano stime ufficiali e/o produttori che riescano a fornirlo su larga scala] può arrivare ad essere quattro o cinque volte superiore al normale cherosene aeronautico. Il SAF viene quindi visto per lo più come una soluzione-tampone, perché i cambiamenti necessari da qui al 2050 devono riguardare il funzionamento dei motori, prima ancora che la forma degli aerei e i materiali di cui sono fatti.

Da qui, la decisione di diverse compagnie aeree [ma non solo] di tentare altre strade e trovare nuove soluzioni, talvolta anche riportando in auge studi degli anni passati, nati – a loro volta – in risposta a periodi di crisi.

É il caso dei motori a turboventola con le pale del rotore esposte [come avviene negli open fan] una soluzione che permette di risparmiare carburante perché molto più efficiente. Inoltre, utilizzando pale a forma di scimitarra si avrebbero anche una sensibile riduzione del rumore e dell’impatto ambientale.

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“In passato i motori a ventola aperta furono visti come la risposta all’aumento dei prezzi del carburante [ndr, la crisi petrolifera degli anni Settanta]”, ha racconta Chris Lorence, ingegnere capo di Ge Aviation.

“Il loro fondamento tecnologico deriva dal nostro lavoro negli anni Settanta con la NASA. Ora siamo a un punto in cui non è il prezzo del carburante a guidare la discussione, ma la riduzione di CO2”.

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Lo studio di nuovi motori [mantenendo intatta l’attuale struttura dell’aereo] va a braccetto con l’utilizzo di sistemi di propulsione a idrogeno; una sfida epica che affonda le radici nella Guerra fredda quando sia gli USA che l’URSS tentarono di creare motori alimentati da idrogeno liquido.

I problemi incontrati sono i medesimi con cui abbiamo a che fare oggi: l’idrogeno liquido è più leggero del cherosene, ha tre volte il potere detonante, ma richiede quattro volte il volume del carburante tradizionale.

Inoltre, è molto complesso e pericoloso tenerlo nei serbatoi.

Nel 1988, a tre anni dalla fine della Guerra fredda che l’avrebbe vista dalla parte dei perdenti, l’URSS riuscì a fare un centinaio di voli con un Tupolev Tu-155 modificato per essere alimentato a idrogeno liquido.

In America invece il progetto Suntan [classificato “above top secret”] vide la nascita del prototipo di motore a getto preraffreddato per velivoli ad alta velocità dotati di motori turbogetto per la ricognizione a lungo raggio.

La Skunk Works di Lockheed fu scelta quale partner naturale, avendo consegnato con successo l’U-2 e disponendo di tutte le disposizioni di segretezza e sicurezza necessarie per mantenere segreto il programma.

Suntan fu un successo, sebbene all’epoca probabilmente pochi lo capirono: il progetto durò infatti solo due anni [1956-1958] richiedendo enormi sforzi, sia economici sia sociali e, sebbene non soddisfò gli obbiettivi statunitensi del periodo, diede alla luce il concept design di un velivolo Mach 2.5 in grado di volare a 30.000 metri e un motore a turbogetto [di per sé già esistente] funzionante con idrogeno liquido [LH2].

Quest’ultimo portò allo sviluppo di nuove propulsioni LH2 e di un’infrastruttura industriale per la produzione di idrogeno ad alto volume, gettando di fatto le basi per l’uso dell’idrogeno liquido quale propellente per i razzi per il programma Apollo e dello Space Shuttle.

Per approfondire l’argomento potete leggere i seguenti documenti:

Gli anni recenti hanno visto a loro volta vari ritorni di fiamma sull’uso dell’idrogeno nell’aviazione, ma i problemi del secolo scorso non sono ancora stati pienamente risolti. Nel 2012 Boeing ha fatto volare il suo drone Phantom Eye nove volte prima che il progetto venisse messo in stop per mancanza di fondi.

Oggi fanno ricerca su questa tecnologia diverse realtà, fra aziende consolidate, come la Airbus con il progetto ZeroE e ZeroAvia che a Gennaio ha fatto volare il suo bimotore Dornier 228 e start up come Destinus.

Fondata dal fisico e imprenditore seriale di origine russa Mikhail Kokorich, l’azienda sta sviluppando un velivolo alimentato ad idrogeno capace di superare di cinque volte la velocità del suono, oltre 6.000 km/h: ne abbiamo parlato in questo articolo.

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Secondo alcuni analisti, però, l’eventuale avvento di motori a idrogeno costringerà a ripensare alla struttura portante degli aerei; in questo campo, uno degli sviluppi più aggressivi è quello delle cosiddette Wing Box [letteralmente ali a scatola], sulle quali stanno lavorando sia Airbus che Lockheed Martin.

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I vantaggi sono i consumi molto ridotti grazie alla superiore aerodinamica e al peso inferiore ottenuto con un progetto realizzato integralmente in materiale composito.

Non mancano, ovviamente, ricerche su aerei 100% elettrici, ibridi elettrico-idrogeno, ricoperti di pannelli solari, stampati in 3D e, addirittura, sul ritorno dei dirigibili [ovviamente in chiave moderna].

Di alcuni di loro abbiamo già parlato in diversi articoli, come dei due velivoli della NASA.

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Il primo, l’Airbus Zephyr S [qui l’articolo] realizzerebbe il sogno del volo perpetuo, potendo ricaricare in volo le proprie batterie, le 500Wh/kg di Amprius, da anni fornitore ufficiale della NASA.

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Queste batterie super dense sono montate anche sull’X-57 Maxwell, il prototipo di aereo 100% elettrico che a Febbraio ha superato con successo gli ultimi test di controllo, dimostrandosi pronto per volare. Trovate l’articolo a questo link.

Nei voli a corto e cortissimo raggio, piccoli velivoli elettrici stanno già prendendo piede: pensati più per saltare il traffico, che per effettuare voli in senso stretto, si tratta dei progetti portati avanti dalle società Airbus e Volocopter, rispettivamente con CityAirbus e VoloCity.

In entrambi i casi si tratta di velivoli a decollo e atterraggio verticale (eVTOL) e il loro arrivo è talmente imminente che la città di Milano sta predisponendo le strutture per quattro ventiporti e un servizio di taxi volanti affidabile in vista dei Giochi Olimpici Milano-Cortina, nel 2026.

Anche il settore degli aerei cargo sta ricevendo le dovute attenzioni, ancora una volta mirate a ridurne sensibilmente le emissioni, tornando all’uso dei dirigibili degli anni Venti e Trenta.

Partendo da ricerche fatte dalla NASA e da alcuni privati in Europa, la società spagnola di viaggi Air Nostrum ha deciso di scommettere su una tecnologia per alcuni aspetti vetusta, ma che in realtà vanta ancora oggi enormi punti di forza.

Capaci di agganciarsi a terra su qualsiasi superficie piatta, i dirigibili possono essere configurati per il trasporto di persone, merci o un mix fra le due.

Inoltre, essendo velivoli più leggeri dell’aria possono muoversi anche verticalmente e non hanno bisogno di superfici estese per attraccare, permettendo di raggiungere località al di fuori della portata degli aerei con carichi utili [passeggeri e merci] molto maggiori rispetto agli elicotteri.

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I primi dieci esemplari, prodotti dalla britannica Hybrid Air Vehicles, dovrebbero essere consegnati nel 2025.

A proposito di scommesse radicali, spostiamoci dal passato remoto a un futuro così in là nel tempo da non poter essere ancora concretamente realizzato, basato su tecnologie che arriveranno fra almeno trent’anni.

Parliamo del concept plane di Airbus, chiamato semplicemente “Bionic”, un progetto che potrà essere portato a compimento tra due generazioni di ingegneri e che, per stessa ammissione della multinazionale aerospaziale europea, non vedrà la luce prima del 2050.

Bionic, come suggerisce il nome, nasce dall’idea di riprogettare da zero la struttura fisica degli aerei, guardando allo scheletro degli uccelli e usandone la geometria delle ossa e degli scheletri.

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I volatili [eccezion fatta per i pinguini] hanno un sistema scheletrico completamente diverso da quello dei mammiferi, leggero come una piuma ma resistente come il legno, formato da ossa cave e pneumatizzate, ovvero dotate di sacche aeree. Queste altro non sono che nove sacchi membranosi collocati nelle regioni cervicale, clavicolare, toracica ed addominale, tutti in comunicazione con i polmoni.

Al momento non è possibile stabilire né i vantaggi, né le difficoltà legate a un simile progetto perché i progettisti non hanno idea di quali tipi di propulsori saranno disponibili, quali saranno le loro caratteristiche e, soprattutto, con quali materiali verrà costruito Bionic.

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L’unica certezza, che costituisce le fondamenta del concept, è che la struttura di ispirazione biologica verrà prodotta con sistemi di stampa 3D – la cosa più vicina alla normale crescita organica che è possibile immaginare nel settore aerospaziale – utilizzando materiali compositi.

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