Elettrodi in carbonio per interfacce brain-computer: progressi importanti all’università del Michigan

Un gruppo di ricercatori dell’Università del Michigan ha sviluppato un particolare elettrodo in fibra di carbonio che può essere impantato nei tessuti biologici ed è stato sperimentato sui ratti per verificare la possibilità di fungere da elemento costituente per un’interfaccia brain-computer. I ricercatori osservano che gli elettrodi in fibra di carbonio hanno la capacità di intercettare i segnali elettrici anche per lunghi periodi di tempo.

Elissa Welle, ricercatrice del Dipartimento di Ingegneria Biomedica dell’Università del Michigan osserva infatti che gli elettrodi di interfacce brain-computer già esistenti non hanno prospettive temporali di lungo corso e possono durare solo da pochi mesi a pochi anni. Questo imporrebbe una sostituzione periodica, con tutti i problemi associati alle procedure chirurgiche necessarie per impiantare nuovi elettrodi a sostituzione dei precedenti.

Lo sviluppo di elettrodi in grado di resistere a lungo è uno snodo chiave per la realizzazione di interfacce brain-computer utilizzabili nel concreto. Attualmente è il silicio ad essere utilizzato più comunemente per questo tipo di impieghi, in particolare per la sua capcità di condurre segnali elettrici. Il problema è che il silicio viene visto dal corpo umano come una sostanza estranea, e ciò può portare alla formazione di tessuto cicatriziale. Ma il silicio tende anche a degradarsi, non riuscendo più a catturare i segnali elettrici necessari, costringendo quindi alla rimozione e sostituzione dell’impianto.

L’impiego del carbonio, essendo un elemento basilare dal punto di vista biologico, potrebbe consentire la realizzazione di interfacce maggiormente biocompatibili e di miglior durata. In questo esperimento i ricercatori hanno realizzato fibre di carbonio tagliandole e affilandole al laser, costruendo poi elettrodi subcellulari in laboratorio con l’ausilio di una sorta di microscopica fiamma ossidrica.

I ricercatori sono riusciti ad impiantare questi elettrodi nel cervello di un ratto senza danneggiare il tessuto cerebrale e hanno potuto verificare la capacità di fornire segnali elettrici ad un sistema esterno. “L’impianto si trova all’interno del cervello in un modo che non interferisce con i vasi sanguigni circostanti perché è più piccolo. Si possono muovere e adattare ad un oggetto così piccolo, invece di lacerarsi come accade se usiamo impianti di maggiori dimensioni” ha spiegato Welle.

Un precedente lavoro dei ricercatori ha dimostrato che gli elettrodi in fibra di carbonio hanno nettamente superato gli elettrodi in silicio convenzionali con il 34% degli elettrodi che registrano un segnale neuronale rispetto al 3%. Il taglio laser ha quindi migliorato questo numero portandolo al 71% a 9 settimane dall’impianto. L’affilatura degli elettrodi ha consentito l’impianto direttamente nella corteccia cerebrale, eliminando la necessità di un ausilio per l’inserimento temporaneo, o navetta, nel nervo vago cervicale del ratto.

L’impiego di elettrodi impiantabili in fibra di carbonio potrebbero consentire all’essere umano di disporre di strumenti capaci di migliorare la qualità della vita di individui con gravi problemi di salute, permettendo ad esempio il controllo di dispositivi protesici avanzati per quelle persone affette da lesioni spinali o che hanno dovuto suvire amputazioni o ancora rappresentare un possibile trattamento per il morbo di Parkinson.